sabato 3 novembre 2012

Recensione del brano "il più grande dei miei sbagli" di Valeria Vaglio

"il più grande dei miei sbagli" è la canzone centrale dell'album “stato innaturale” di Valeria Vaglio, una delle più profonde e difficili da analizzare, a mio avviso un capolavoro: quasi ogni parola evoca una pluralità di immagini e le connessioni tra i pensieri appaiono labili e molteplici, proprio come quando lasciamo parlare la parte più profonda di noi stessi senza darle troppe istruzioni, e questa libertà è confermata dal fatto che, a fronte di altre canzoni con struttura anche metrica molto regolare, questa si regge solo su assonanze e mancano quasi del tutto le rime perfette. È la storia di una passione contrastata ma vissuta con la massima intensità, che nelle strofe viene raccontata attraverso affermazioni generali o che appaiono tali (numerose le espressioni impersonali con il noi, il tu e il si), mentre negli incisi Valeria si rivolge alla persona amata e le esprime direttamente quello che prova. I primi versi sottolineano che basta un incontro a fare in modo che le reazioni del cuore non seguano la stessa direzione della mente, e la distinzione "quelli che incontriamo per caso o per destino" allarga l'insieme tanto che non si esclude nessuno degli incontri possibili nella vita, qualsiasi persona può non essere solo di passaggio. I battiti aumentano senza controllo alla vista di una stella caduta da un cielo sconosciuto, e quest'immagine fa subito pensare ad un desiderio che si avvera anche se non eravamo del tutto consapevoli di provarlo. Ma in quale delle due direzioni vanno allora i nostri atti? In alcune situazioni prevale quella del cuore, e Valeria sta parlando di una di queste; Di conseguenza vengono l'ingiustizia tra l'avere e il dare, l'impossibilità di definire i propri sussulti ed il bisogno di mantenere "all'erta i sensori di integrità morale, quand'è tutto concesso se a comandare è il cuore". Dagli incisi si evince che la fortissima passione qui descritta è inconciliabile con le regole e le categorie esterne a Valeria e dunque impossibile da realizzare in concreto, non sappiamo per quale motivo; perciò è inevitabile che essa provochi sofferenza e che la protagonista sia costretta a venire a patti con quella logica che non condivide: non può e non vuole ritirarsi ma solo "riuscire a stare un passo dietro tutta l'altra gente, sapendo che comunque sei la cosa più importante". È molto più facile vivere una passione o un amore in modo spontaneo e senza preoccuparsi delle conseguenze, ma quando ciò non è possibile tenere al centro quella persona restando indietro rispetto alla corsa del mondo ed esponendosi ai rischi che comporta il parziale distacco dalle leggi che lo governano, rinunciando così alla protezione che gliene deriverebbe, è una scelta coraggiosa e combattuta, e questo è il motivo della tensione che si coglie nell'interpretazione soprattutto degli incisi. Il primo si apre con l'immagine di un momento accanto alla persona amata che appare meravigliosa e capace di incantare come un angelo, e per associazione immediata si disegna nella mente di Valeria quella degli angeli dei quadri che le è capitato di vedere; il senso di dolore che questo le procura è reso con efficacia dalla scala discendente delle note che accompagnano le parole successive, acuito dall'opposizione con quei dipinti: lì è possibile fotografare un momento anche brevissimo, fare in modo che un sorriso o un tramonto durino tutta l'eternità, mentre nella realtà lo scorrere del tempo è implacabile e sottrae sempre troppo presto le immagini più belle e celestiali; trovarsi accanto alla persona amata diventa ogni volta una sorpresa, ed ogni volta è più straziante vederla svanire come un tramonto, interrompere l'incanto proprio quando meno lo si vorrebbe. Ci vuole coraggio anche per poter afferrare quei pochi istanti tuffi da due metri, e per dare spazio a piccoli gesti che possono far nascere e modificare emozioni più grandi, alleviare quella sofferenza pungente se solo si è disponibili ad accettarli e abbandonarsi alla loro semplicità. Anche esprimere a parole i propri sentimenti, magari rispondendo a domande casuali in qualunque contesto, può dare un senso di sollievo e Valeria dice a chiare lettere che non è segno di debolezza lasciare da parte le maschere anche se non completamente, almeno per pochi attimi: tante precauzioni e reticenze richiede accettare una storia come questa, dunque è naturale cercare quel leggero sollievo! La seconda strofa finisce con la frase "se avessi tempo e fiato non proverei timore di intrecciare male il senso e le parole", e non è difficile pensare a circostanze, specialmente accanto alla persona amata, in cui la mancanza di tempo e l'affanno che toglie il fiato impediscono di scegliere le parole giuste che corrispondono al senso, cioè a ciò che sentiamo e al significato che vogliamo dargli, insomma a ciò che vogliamo trasmettere. È questa un'espressione alla prima persona dopo tante alla terza, sembra che il coinvolgimento di Valeria aumenti pian piano in una climax ascendente come se si fosse fatta via via più coraggio nel cantare i moti del suo cuore. Nell'ultimo inciso figura per la prima volta il pronome "io" piuttosto enfatico, in accordo con il tono e il contenuto di questi versi: infatti la frase finale che occupa l'ultimo inciso e significativamente si ripete due volte con la batteria che diventa da leggerissima a più forte, è una sorta di confessione che Valeria immagina sussurrata e contiene sia la considerazione dell'impossibilità della storia alla quale il desiderio di Valeria si oppone (congiuntivo ottativo se potessi), sia la disponibilità a donarsi totalmente alla persona amata, affidarle la sua vita e il suo tempo senza condizioni e senza chiedere niente in cambio, "fosse anche l'ultimo e il più grande dei miei sbagli"; sulle ultime note la musica sfuma e rimane la sola voce di Valeria che quindi per quanto bassa sembra levarsi in un grido a un tempo disperato e deciso.