giovedì 17 maggio 2012
14 maggio, semplice e inspiegabile (a uno spettatore)
Ti scrivo senza conoscere il tuo nome né la tua voce e il tuo aspetto, anzi a dire la verità di te so soltanto una cosa: ieri sera ti trovavi dove mi trovavo io, cioè al concerto di Pacifico al teatro franco Parenti. Forse hai notato il mio sguardo vacuo quando ho volto il viso nella tua direzione, ma non so se hai fatto caso alla mia presenza tra tanta gente. Mi piacerebbe chiederti come e perché sei arrivato a questo concerto e cosa ti ha lasciato, ma più di tutto raccontarti quello che è stata per me la serata di ieri, perché mi sono sentita davvero una goccia in un oceano sconfinato quanto il Pacifico, ed ho bisogno che tu mi conceda qualche minuto per ascoltarmi e che mi dia una voce, mi faccia capire che hai condiviso una parte delle mie emozioni.
Prima di entrare nei dettagli vorrei darti un’idea dello stato d'animo in cui io sono arrivata al teatro, ed a questo scopo, poiché non conosci la mia storia, ti riassumo brevemente la giornata di ieri, intensissima come spesso accade nella mia vita di studentessa universitaria: la mattina presto ho tenuto una lezione sulla disabilità ad un gruppo di aspiranti formatori aziendali, ricchissima di domande e riflessioni interessanti; subito dopo ho seguito due ore di storia romana, noiose quanto basta, sulla legione in età classica. Un pranzo veloce con alcune amiche prima delle prove del coro, un'ora di canti polifonici; poi le mie tre ore di lavoro volontario al centro culturale di Milano, diventate quattro grazie ad una spedizione alle poste con tanto di compilazione di ricevute di ritorno assegnatami all'ultimo minuto. Risultato, ero tutt’altro che a mente sgombra e avevo mezz'ora scarsa per prepararmi al concerto che avevo atteso con ardore e da cui mi aspettavo i fuochi d'artificio specialmente dopo quello che è successo lo scorso 12 aprile, quando ho ricevuto il regalo di un incontro con Gino Pacifico che non dimenticherò facilmente. Però, Tutta questa giornata era stata attraversata dal filo sottile di un pensiero, questa sera mi fermo. Ed era proprio quello che dovevo fare e che avrei fatto,, perché il nostro Pacifico non si impone, non rompe gli argini, ma entra quando gli lasciamo lo spazio e arriva piano piano agli angoli più profondi. Era vicino a noi pubblico caloroso della sua città, ho concordato pienamente con lui sul non avvertire la distanza che protegge gli artisti da quel contatto che li espone ad emozioni più forti.
Sarebbero sufficienti i due aggettivi del titolo, che ho scelto in maniera non troppo originale, a descrivere l'aspetto saliente del concerto: semplice perché non c'erano scenografie mirabolanti ma i musicisti sul palco che con semplicità hanno suonato ed interpretato le canzoni; un gruppo affiatato, o almeno questa era l'impressione dall'esterno, strumenti ed effetti del disco “una voce non basta” scelti con cura a riempire di valore ogni singolo momento dello spettacolo, e Gino al centro della scena a dare unità e fascino all'insieme con la sua voce calda. Ma inspiegabile, non solo per la mia incapacità, ma anche perché per tutto il tempo non mi ha abbandonato la sensazione che mancasse qualcosa, non nel concerto ma in me e in come lo stavo vivendo; strano, a mille concerti mi è capitato di essere accompagnata per gentilezza da qualcuno che durante lo spettacolo è assente con i suoi pensieri, d'altra parte non posso pretendere che un altro si costringa a provare emozioni che non gli appartengono. Però ieri avevo un bisogno insistente di quella corrispondenza di sensazioni e di battiti, non so spiegarne il motivo ma è per questo che ora ho deciso di rivolgerti direttamente il mio racconto. Era come un niente, un millimetro che mi separava dal vivere una felicità quasi completa, come di sogno, eterea e senza definizione. Avrei voluto parlarti e sentire dalla tua voce che eri lì per Gino e che anche a te stava donando tesori che non riusciamo a misurare.
È vero tuttavia che ci sono stati istanti in cui ero ferma in volo lieta e senza ombre,e non so se puoi credermi, più spesso quando Pacifico si diffondeva nei suoi interventi parlati che nelle canzoni… che vuoi farci, sarà una mia deformazione di letterata ma mi ha conquistato da subito il suo modo di usare le parole, sia quando seguiva i suoi testi scritti sia quando improvvisava. Che meraviglia per una ragazza della mia età entrare in un ricordo come quello della notte del 1969 davanti al televisore che si spegne formando una specie di spirale, pensando con la fantasia di un bambino di allora a come doveva apparire la faccia della Luna, con i suoi mari asciutti e i suoi crateri; a proposito, io i pigiamini che scoppiano non li ricordo per niente! La città non catturava gli sguardi come adesso, ho provato a calarmi in quella dimensione per qualche secondo e a recuperare una briciola di quella sana ingenuità, che difficilmente oggi sarebbe la stessa se al di sopra delle case si manifestasse improvvisa e splendente una seconda Luna, nuova e tutta da scoprire. La passeggiata attraverso Milano, tra le case e le insegne improbabili dei negozi della periferia, mi ha trasportato in una realtà che posso solo sfiorare, sia perché non vedo e mi perdo tutti questi dettagli, sia perché da quasi due anni abito in pieno centro e il panorama è piuttosto differente. Mi avrai visto quasi piangere dal ridere al momento di Smog, in quel gioco con il pubblico dove la parte più divertente a mio avviso era l'ironia di Pacifico nei confronti di se stesso (è l’unica canzone in cui non tenere le braccia conserte!). Con l’accompagnamento di questa canzone è solito presentare il gruppo (ma guardateci, siamo in 8, quindi andiamo avanti fino alle 3! Era una battuta ma fino a un certo punto, nel senso che raramente ho sentito presentare dei musicisti così diffusamente nelle loro qualità artistiche e umane (ma questo è solo l'inizio, poi leggerò il curriculum di ciascuno!). Le lettere S M O G prima pronunciate con la forza della rabbia, dopo due o tre tentativi di cui evidentemente il nostro mattatore non era soddisfatto; poi in un sussurro corale, anche qui riuscito dopo qualche titubanza, per la sorte dell'ambiente che a lungo andare conduce a un senso di dolorosa impotenza. Ho trovato preziosi i passaggi delle due ospiti, Cristina Marocco era emozionata e ricca di grazia come ha detto Pacifico nell’introdurla, ma anche di gratitudine per quel pubblico italiano per lei meraviglioso! Malika Ayane almeno per me non è stata proprio una sorpresa... ero al teatro Verdi tre anni fa, Pacifico prima del tour ha parlato di ospiti diversi a seconda delle città, e due più due fa quattro. L'ho apprezzata soprattutto su "verrà l'estate" eseguita in modo se possibile ancora più acustico che al Verdi, senza i campanelli e con un ruolo ugualmente centrale di piano e chitarra; in questa veste la canzone non perde la freschezza, ma ogni nota sembra essere al posto giusto nell'armonia semplice e piena di speranza che accompagna il testo.
Non sono stata per niente a braccia conserte durante “Pacifico”, al Verdi l'avevo ascoltata per la prima volta con immenso piacere e qui l'ho cantata muovendomi a tempo di musica, perché in una nuova prima volta quel vortice di venti contrari, di cui l'oceano smisurato e incontrollabile è la metafora, si concentrava nel poco spazio della mia poltrona, ricreando nella mia fantasia l’impressione di esserne al centro come è capitato almeno una volta nella vita di ciascuno di noi. Simona Severini è stata instancabile nell'aggiungere il suo timbro limpido e robusto a brani cantati nelle versioni originali in duetto con gli artisti più vari. Si è alzata sola la voce di Pacifico, se ben ricordo, soltanto durante "in cosa credi” eseguita con un accompagnamento più essenziale che nel disco, chitarra e archi; mi ha stupito ilcalore che Gino ha trasmesso nella sua interpretazione, forse nell’originale prevale il vibrato e il colore deciso del timbro di Manuel Agnelli e perciò il contrasto mi è parso più forte. Altra sorpresa è stata la stessa “Semplice e inspiegabile”, da cui mi sono lasciata conquistare più che mai, grazie alla voce di Simona che dà più sostegno al brano rispetto a Cristina Donà, e alla tonalità in cui la voce di Pacifico sulle note basse arrivava a una profondità che trovo irresistibile; gli effetti degli archi davano un tocco in più di quella semplicità cristallina in cui si imbatte chi osserva nella sua realtà un paesaggio o il rapporto con una persona cara, così semplice da essere inspiegabile, cioè da non lasciarsi racchiudere in spiegazioni che peraltro non sono necessarie, basta uno sguardo libero e attento a coglierne la totalità e le sfumature.
Sono forse noiosa, ma ci tengo a fissare quegli istanti per i quali proverò sempre una gratitudine autentica come quella gioia che ho faticosamente affidato a queste parole; consegnarli a te significa finalmente colmare quei vuoti d'aria di solitudine come una goccia sospesa nel vento, perché acquistino quella chiarezza che altrimenti non avrebbero e costruiscano insieme un'immagine di Gino sempre più precisa e inondata di una luce che va oltre la serata di ieri. Grazie dunque per ricevere queste mie istantanee ed avermele restituite più nitide, così
semplici e inspiegabili.
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