venerdì 29 marzo 2013

Pensieri e immagini da un sogno, Pacifico

Le cose non sono mai come le immaginiamo o le attendiamo, specialmente
se ci avevamo investito molto in aspettative e, con la lente
deformante della nostra impazienza, avevamo osato visualizzarci vere e
proprie scene di quello stralcio di futuro tanto desiderato. Sono
abbastanza grande da saperlo e abbastanza ingenua da dimenticarlo con
facilità, e durante l’esperienza che mi accingo a raccontare, il mio
primo concerto di Pacifico in compagnia di altri suoi fans, e nelle
ore immediatamente successive ne ho avuto una conferma evidentissima.
Ho imparato, o richiamato alla memoria, cosa sia quella gioia completa
e profonda che mi regalano le notti di note come quella del 14 marzo
al Bluenote di Milano, una gioia tanto preziosa quanto così fragile
che il più piccolo frammento di prosaica realtà, come un ago
sottilissimo ma implacabile, può infrangerla e farla esplodere come un
invisibile palloncino. A distanza di giorni mi piacerebbe essere
ancora circondata da quella bolla di sogno, vorrei che non mi avesse
abbandonato quel sorriso da paresi facciale che non ho perso un attimo
durante il concerto, continuare a riempirmi dello stesso stupore e
della stessa gratitudine che ho provato per ogni nuova conoscenza,
ogni arpeggio della chitarra, ogni nota anche non perfetta, ogni
intervento parlato e incontro personale con Gino. Ma la realtà è così
tiranna che la sensazione che prestissimo ha cominciato a inondarmi è
strana, come se l'essermi lasciata così coinvolgere e trasportare da
quest'uomo in un'altra dimensione, anche per poche ore, fosse una
colpa per la quale devo chiedere scusa al mondo, una roba da sciocchi
o da immaturi. Avevo la netta impressione che, se avessi aspettato
anche pochi giorni a fotografare quanto mi è rimasto di quelle quattro
ore, la realtà tiranna mi avrebbe privato dei frammenti di quella
bolla che io invece, seppure di nascosto, voglio conservare e che
difficilmente un filmato potrà restituirmi.
Non era un pensiero tanto assurdo, perché certamente il tempo non mi è
stato amico e quasi mai sono stata di quell’umore sereno, che aiuta a
creare dentro di me uno spazio libero da cui escludere le
preoccupazioni quotidiane e nel quale lasciar entrare e scorrere
liberi solo i ricordi più luminosi per immortalarli nelle parole. Se
anche questa volta sono riuscita a scattare questa singolare
fotografia è stato soprattutto grazie a due persone per me speciali,
entrambe conosciute per la prima volta nelle parole di racconti a tema
musicale: la prima in ordine di tempo è Silvia di Pisa, splendida
fondatrice del sito dedicato a Claudio Baglioni
www.unaparolaperte.net, che ho incontrato anni fa navigando sulle sue
pagine ed in poco tempo è divenuta una carissima amica. È grazie a lei
che avevo già vissuto concerti in compagnia di persone con cui
condivido la passione per un artista, e la sua capacità di custodire
nel cuore queste esperienze e tradurle in parole semplici e poetiche
mi ha suggerito l’idea di raccogliere anch’io il suo invito, discreto
e costante, a non smettere di trasmettere. La seconda è Maria, un
regalo che ho ricevuto l’anno scorso dopo aver inserito il mio primo
racconto su Pacifico nel gruppo di facebook frequentato dai suoi fans;
in questi mesi ho scoperto con gioia la sua umanità e i tratti che ci
accomunano e mi onora di una stima immeritata, specialmente della mia
abilità di scrittura. Ho letto il suo messaggio che mi spingeva al
racconto, ma già prima sapevo che attendeva le mie parole e desideravo
portarla con me nella serata di giovedì scorso, e questo pensiero mi
ha aiutato a compiere nuovamente il lunghissimo viaggio per rientrare
nella dimensione fantastica del concerto, ora senza vergogna alcuna e
con piacere.
Avevo deciso di parteciparvi soltanto due settimane prima ed ero
entusiasta di ritrovare Pacifico a nemmeno un anno dall’ultimo live al
teatro Franco Parenti, in una location per me nuova e ricca di fascino
così come la compagnia di Roberta e Alessandra, amiche del gruppo che
non finirò di ringraziare per la disponibilità e cordialità che mi
hanno dimostrato. La sera del 14 marzo io e Alessandra ci siamo
incontrate sotto casa sua alle 19 circa e in macchina ci siamo avviate
al bluenote, dopo essere andate a prendere Roberta alla vicina fermata
del tram; al locale ci ha raggiunto Gabriele, anche lui parte del
gruppo, e siamo entrati poco prima delle 20. All’arrivo ho trovato ad
aspettarmi la prima sorpresa, Gino era li' e con gli altri sono andata
a salutarlo; ero elettrizzata dalla gioia, ma sono rimasta davvero
esterrefatta quando, appena mi ha notato, mi ha anche chiamato per
nome! In realtà si ricordava benissimo di tutti noi e io sono stata
l’unica a meravigliarmi, ma i miei compagni di viaggio erano fans di
lunga data mentre io, benché lo segua da sette anni, gli avevo parlato
soltanto una volta lo scorso anno alla Fnac... ciao Alissa? Che
significa questo capovolgimento di ruoli? Di norma sono io, Gino, che
ti riconosco e corro a salutarti, non tu che riconosci me! Chissà, è
vero che Pacifico ha una memoria incredibile e che scrivo spesso sulle
sue pagine di facebook e twitter, e forse ho un nome abbastanza
particolare da rimanere impresso, come il mio volto, anche a uno dei
miei cantanti preferiti! Tutti e quattro ci siamo fermati qualche
istante a chiacchierare e scherzare con lui; gli altri erano spigliati
e si divertivano a scambiarsi battute di spirito, Alessandra gli ha
raccontato di aver appena preso una multa per colpa sua e Roberta ha
minacciato di scappare all'alcatraz a sentire i munford and sons se
non fosse stata soddisfatta! Io invece non perdo l'emozione che mi
accompagna sempre quando mi capita di parlare di persona con qualcuno
che sa darmi così tanto, dunque mi sono mostrata poco loquace,
nonostante il luogo e il fatto che Gino ormai mi conosca mi abbiano da
subito trasmesso un senso di intimità, come in una famiglia. Poiché
era presto e il Bluenote non era ancora affollato, il tavolo proprio
accanto al palco è stato nostro, tanto che allungando il braccio
sinistro potevo quasi toccare la pedana!L'attesa è trascorsa tra un
leggero spuntino, qualche foto e molte chiacchiere tra di noi e con
altri membri del gruppo che man mano si accomodavano in sala, fino al
momento in cui Gino ha dato inizio alla musica alle 21,15 insieme a
due soli validi musicisti, Silvio Masanotti alla chitarra e Ivan
Ciccarelli alle percussioni.
Anche in virtù del gruppo ristretto da cui era accompagnato mi ha
trasportato in modo nuovo nelle sue canzoni: gli arrangiamenti com’è
naturale erano rivisitati, essenzialissimi, sembrava che contenessero
degli spazi che stava a noi colmare con i nostri battiti, le immagini
e i suoni che associamo ai singoli brani. L’ho percepito fin dalla
prima canzone, “Pacifico”, non dirompente di per sé ma se riuscivo a
riprodurre nella mia mente, come nei live precedenti, il senso e il
suono delle onde alte cento metri e dei venti che scuotono i vetri e
il mio corpo. “In cosa credi” era il titolo dello spettacolo, la
domanda che il cantautore ha rivolto a se stesso prima di presentarci
in forma di musica e brevi racconti le parziali risposte che si è dato
di giorno in giorno. La scaletta era composta da pezzi noti adatti
allo scopo e al luogo, inediti intensi e tutti da scoprire e qualche
cover amata da Pacifico come “Pasqualino marajah”. I racconti che
leggeva quasi tra una canzone e l’altra erano simili a monologhi
teatrali in prima persona, vere e proprie finestre sul suo mondo per
come ce lo vuole mostrare, e mi ha colpito questo desiderio per nulla
scontato di condividere la sua storia; mi sono rivista in quel ragazzo
che passa ore e ore a fantasticare guardando fuori dalla sua casa di
Milano, ho pensato alla mia radio che come la sua ha assistito
discreta a tante tappe decisive della mia vita, alla gioia che fin da
piccola ricevo dal rumore del mare udito in estate. Questi racconti,
dei quali Pacifico aveva condiviso almeno il nucleo sulla sua pagina
facebook nei giorni precedenti il live, erano parte integrante dello
spettacolo, sullo stesso piano delle canzoni, anch’essi frutto di
instancabile studio e labor limae. È vero che, come ritiene la maggior
parte delle persone che avevo intorno, poteva risultare un po'
difficile seguirne il filo e l’artista appariva meno spontaneo
rispetto agli scoppiettanti interventi parlati a cui ci ha abituato,
nei quali un ruolo chiave spettava all’improvvisazione. Io però non mi
sono annoiata nemmeno un minuto, non sarei una letterata se non
nutrissi un’autentica passione per una parola così ricercata e
poetica! Non sono mancati i passaggi divertenti e scherzosi, per fare
un solo esempio Gino ha dichiarato più volte di voler finire così
tardi che… non solo sarebbero state chiuse le metro, ma ci sarebbero
state le prime vecchiette a prendere il numero agli esami del sangue!
È però chiaro che, pensando ai concerti degli inizi di cui ho solo
esperienza indiretta ma anche al primo cui ho assistito quattro anni
fa, mi accorgo che lo stile è cambiato, nel senso che, quando il
poliedrico personaggio guadagna il palco portando tutto se stesso, ora
è più a fuoco il suo lato riflessivo volutamente inserito in una
cornice strutturata, che a mio avviso non è meno interessante di
quello più vivace e frizzante emerso in altre occasioni. Sono rimasta
in rapito ascolto quasi per l’intero concerto, mi è venuto da cantare
soltanto “A nessuno” per il suo ritmo incalzante e perché mi era
naturale intonare il controcanto eseguito nel disco da N A N O, e “Le
mie parole”, perché dal vivo di fronte a Gino la sento più vera che
mai. Ho avuto l’impressione, spero non troppo ingenua e ottimista, che
il resto del pubblico fosse del pari attento e non addormentato;
spesso gli applausi partivano dopo che l’ultima corda della chitarra
aveva smesso di vibrare e i silenzi sono stati più assoluti e numerosi
che in qualsiasi altro live che io ricordi, e per me erano un aiuto ad
ascoltare le mie emozioni amplificate e pure. La voce di Gino era
tutt’altro che impeccabile nell’intonazione e si avvertiva che
arrivare in alto gli costava fatica, ma questo non mi ha impedito di
gustarmi pienamente le sue melodie e i suoi testi. Ad un certo punto,
al termine di una riflessione sulle canzoni d’amore in genere e in
particolare sui sentimenti propri di molte storie a distanza, è
comparsa Cristina Marocco introdotta da Pacifico con una pletora di
aggettivi complimentosi (meravigliosa, splendente ecc. ecc.) dopo aver
scherzato con la sua consueta autoironia sulle due o tre carie che ci
saremmo ritrovati a causa sua! Hanno unito le loro voci in L'ora
misteriosa e Parlami radio, e Cristina era come la ricordavo,
aggraziata, emozionata e felice di condividere quel pubblico con Gino
nonostante non fosse, almeno all’apparenza, il più caloroso che si
possa immaginare!
La canzone conclusiva è stata Infinita è la notte come alla Fnac, un
brano che allarga l'orizzonte con lo sguardo della mente che cerca di
abbracciare il tutto e lo restringe alle parole antiche senza età
pronunciate in una stanza, e questo contrasto armonico mi ha
affascinato anche più che negli altri live. Dopo le ultime note di un
simile spettacolo, per molti di noi metterci rispettosamente in fila
vicino all’angolo dove Gino si era fermato a salutare e firmare
autografi è stato quasi normale, come fosse ormai un amico, tanto che
ho pensato che accidenti non mi sarei agitata, per scoprire al mio
turno che di nuovo mi sbagliavo. Gli ho afferrato la mano e alla sua
domanda se mi fosse piaciuto il concerto ho risposto che per me era
troppo, troppa grazia, senza esagerazione alcuna perché era
precisamente quello che sentivo, e lui ha ribattuto “la prossima volta
lo faremo meno bello!”, prendendomi benevolmente in giro; oltre a
ringraziarlo più di una volta sono riuscita soltanto a confidargli
quella sensazione di calore familiare che fin dai primi istanti avevo
respirato. Mentre parafrasando Claudio Baglioni mi contavo le parole
in tasca, lui autografava per me una cartolina e ci scriveva “grazie
per la tua attenzione”, una frase che ho percepito come sincera e in
armonia con il contesto e il modo in cui avevo vissuto la serata.
Anche i miei compagni di viaggio hanno avuto la loro dedica e
volentieri siamo andati anche a fare i complimenti a Cristina, che
sembrava davvero contenta pur non perdendo mai il suo atteggiamento
misurato. Prima di lasciare il Bluenote Alessandra ha scattato una
foto a me e a Gino abbracciati sottraendo all’oblio anche la mia
espressione incantata e riconoscente, e con questa dolcissima immagine
chiudo il cerchio ideale che, come un confine sottile ma nitido,
separa nella mia memoria quattro ore di sogno dal tempo ordinario
della realtà.

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