sabato 14 aprile 2012
Concerto di Pacifico (3 marzo 2009)
L’ultima nota della melodia si è spenta da poco, sono ancora piena delle vibrazioni di questa serata indimenticabile che ho trascorso nell’atmosfera calda del piccolo teatro Verdi a Milano, seduta di fronte ad un palco colorato da palloncini e coriandoli su cui è salito e rimasto due ore e mezzo un personaggio che in tutto mi ha affascinato, nell’interpretazione dei brani, nella loro riscrittura e nell’eloquio: ho riconosciuto in lui uno fra i più acuti uomini di spettacolo e musica che abbia udito esibirsi. É il Pacifico magnifico che conoscevo già sempre accurato nella scelta degli strumenti, che riproduce gli stessi effetti del disco, violini e tintinnio di bicchieri, in “Dove comincia tutto”, canzone che apre l’album “Dentro ogni casa” e ha aperto la serata, con la quale ci ha invitato ad entrare nel suo mondo come nell’album ci invita a riscoprire la parte più semplice e vera di noi stessi; riscrive invece “Sembri una foglia” per chitarra piano e violoncello, marcando la contrapposizione tra interno ed esterno, fondamentale già nella versione originale e scandita in essa dal testo e da un diverso tema melodico, anche con un suono più o meno dirompente della chitarra: dentro tutto è malinconia e immobilità, fuori la vita scorre e sprigiona la sua energia. Ma è un Pacifico ancora più magnifico perché nuovo, il suo carisma sta nel suo essere misterioso e pacato, mai sopra le righe, dalla voce profonda e quanto mai rasserenante anche nel parlare, cordiale come un caro amico, abbagliante nell’uso del lessico ricercato ma non affettato, ironico ed autoironico nel modo più sincero e genuino, senza esagerazioni e proprio per questo efficace. Infatti il pubblico della sua città ha risposto positivamente a questo spettacolo di elevata qualità ma anche brillante vivacità: era Pacifico stesso a scherzare sul fatto che le sue canzoni non sono quel che si dice rivitalizzanti! Ma lo era lui specialmente per lo spirito, che solleticava senza interruzione durante gli interventi parlati, con garbo e senza affaticarlo in riflessioni troppo pesanti e inadatte al contesto. All’inizio ci ha deliziato con una sua biografia in terza persona, parlando di se stesso come se si trattasse di un individuo strano e difficile da definire, da guardare con curiosità e perfino con un po’ di sospetto; sottolinea come il suo carattere apparisse fin dall'infanzia raccolto e meditabondo, di una calma inusitata e in contrasto con il fermento di quegli anni (è nato nel 1964, quando già si preparavano le rivolte studentesche di poco successive). La canzone che ha seguito il primo capitolo di questo racconto è stata “l’incompiuta”, in cui Pacifico racchiude quel poco che sa del percorso della sua vita: sa di avere giorno dopo giorno cancellato il dipinto dell’innocenza che ha ricevuto appena nato, e che dopo ogni vetta raggiunta se ne presenta una più alta, e che la sua vita, per quanto aumenti l’esperienza, resterà un’opera incompiuta. Uno degli interventi che mi hanno più toccato e commosso è stato quello in cui Pacifico ha letto una lettera della sua professoressa di italiano delle superiori (finzione letteraria? Forse, ma poco importava), che gli scriveva dopo molti anni di assenza di contatti avendo appreso dai giornali che il suo ex allievo era ormai musicista; rievoca momenti di gioia e di inquietudine condivisi con lui, pochi ricordi ma vivi nella sua mente, e riassume il cambiamento ma anche l’identità di Pacifico con quel se stesso di molti anni prima, sempre riflessivo ma più impacciato e titubante nei confronti della vita: senza dubbio tratti che li accomunano sono l’abilità con la penna (l’insegnante quando correggeva i temi lasciava il suo per ultimo, come ci si conserva per la fine la parte centrale della pizza!) ed una timidezza che non ha nulla a che vedere con la ritrosia e che ho trovato incantevole. É proprio questo continuare a vivere come fosse sempre in pericolo, cosa che lo induce a non sentirsi né mostrarsi divo sul palco, che rende quest’autore quello che possiamo apprezzare, silenzioso e gentile, capace di cucire note e parole ricche di tante e tali sfumature da non permettere di distinguerne i contorni, così da potersi adattare a svariati contesti e personalità. Ne è prova il fatto che il pubblico era vario quanto ad età e tipologia di spettatori, dagli amici agli studenti alla stampa, e che quasi tutte le canzoni sono state rivisitate nell’arrangiamento sfruttando le risorse del live. “Verrà l’estate” è stata suonata solo con piano chitarra e campanelli, che sembravano richiamarci a godere delle sensazioni piacevoli che trasmette, e durante l’esecuzione ha fatto la sua comparsa Malika Aiane, che vi ha aggiunto classe e ha dato vita a quell’ideale di speranza e rinnovamento connesso con il ritorno dell’estate, scopo per cui è stata scelta per interpretare questo brano in duetto con il suo autore nell’album “Dentro ogni casa”. Pacifico sente ancora che gli appartengono brani da lui scritti per altri, perché non solo li ha ricantati ma ha dato loro un significato all'interno del concerto ed in qualche caso ne ha raccontato in breve la storia: "Stringimi le mani" scritta per Gianni Morandi è stata preceduta dal divertente aneddoto di un sms ricevuto mentre era al cinema e a cui all'inizio non aveva dato peso, convinto com'era che si trattasse di uno scherzo dei suoi amici buontemponi e non della richiesta di scrivergli una canzone da parte di uno dei pilastri della musica italiana! "Smog" fu scritta per Celentano ma da lui rifiutata, e cantando le strofe Pacifico ci ha chiesto di esprimere tutto il suo rancore urlando a gran voce le lettere SMOG a tempo di musica! La canzone conclusiva del concerto è stata opportunamente la stupenda "le mie parole" regalata a Bersani: le parole sono state la linfa vitale dello spettacolo, e chi meglio di lui potrebbe testimoniare il loro potenziale alla fine di una serata come questa? Quest'uomo/autore non ama gli schemi rigidi in nessun caso, e lo ha ben dimostrato: non c'era un ordine riconoscibile nelle canzoni, nello svolgimento della serata, nella sua stessa biografia: l'ordine seguiva il flusso dei pensieri ed era perciò libero anche se non arbitrario, perché nulla sembrava né poteva essere casuale; Pacifico sa rendere netti i confini tra questi concetti, che spesso appaiono così simili da confondersi. Ho invidiato moltissimo lo spettatore che ha avuto il privilegio di salire sul palco e prendere con Pacifico un caffè preparato per l'occasione, buona abitudine italiana/campana, il giusto tramite per portare alla canzone "caffè" ed un atto che comunemente compiamo al mattino quando ci svegliamo e che anche lui compie perché la sua è per molti versi un'esistenza qualunque. Ho invidiato anche i numerosi spettatori, quasi la metà del pubblico in sala, che sono saliti sul palco alla fine del concerto, forse amici e conoscenti che potevano incontrarlo non fugacemente ma come persone a lui legate; quanto ho desiderato avvicinarmi a chi aveva saputo darmi tanto, non so cosa avrei detto, magari mi sarei limitata ad un saluto ed una stretta di mano, ma volevo significare che io c'ero e che quello che ho provato stasera resterà un ricordo da far scorrere quando il tempo sembrerà "lento".
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